Il Monte Rotella. Cerniera tra il PNALeM e la Maiella.


Il Monte Rotella, ovvero il monte conteso, fuori posto; autentica cerniera posta da Nord ovest verso sud est, una dorsale a congiungere le montagne del Parco d’Abruzzo con quello della Maiella. Annoverato geograficamente tra le montagne del Parco Nazionale d’Abruzzo ha la vetta che viene compresa nei confini in quello della Maiella. E’ dall’alto della sua aerea cresta che ne capisci tutto il senso. Un ’appuntamento antelucano alle 4 e 30 al parcheggio della Rustica riuniva l’antico di Aria Sottile ed il nuovo. I due Giorgio ritornavano ad uscire con me e Luca e lo facevano in un progetto antico ideato da Mr. Spit, la traversata del Rotella da Ovest verso Est. L’uscita a Sulmona è già un viaggio di per se, prendere a salire verso il Piano delle Cinque Miglia diventa una avventura. Il termometro dell’auto di Giorgio scende di un grado ogni due chilometri, sul piano arriva a toccare i meno dodici, le nostre velleità si infrangono nel tepore dei riscaldamenti delle auto che dovremo lasciare da li a poco. La prima la lasciamo subito dopo l’uscita della galleria che ti spalanca davanti il Piano delle Cinque Miglia; sulla sinistra un cartello per “Napoleonica” non meglio dichiarata località o strada, segnalata da un cartello stradale azzurro; prendiamo la parallela in direzione contraria ma già dopo poche centinaia di metri ci fermiamo. La stradina è impraticabile per neve. E’ ancora buio, intuiamo solo il pendio della montagna sopra di noi ma per il nostro fine va bene. Sarà il punto di ritorno della giornata. Trasbordo dell’attrezzatura nella macchina di Giorgio e in un freddo siderale ci dirigiamo verso Pescocostanzo. Non ce ne accorgiamo per il buio ma di fatto stiamo facendo il periplo proprio del Rotella. Sbagliamo un paio di strade ma alla fine riprendiamo la giusta direzione proprio mentre l’alba ci mostra tutta la dorsale del nostro monte. Anche senza carta alla mano intuiamo il punto di salita studiato da Giorgio, a metà della dorsale c’è un unico tratto libero da vegetazione, uno scivolo completamente libero da boscaglia che sale da valle fino alla cresta. Il piano è innevato e l’unica difficoltà sta nell’indovinare la più agevole stradina padronale che ci possa avvicinare al punto di attacco. La individuiamo in quella della masseria Calabrese, proprio sotto la traiettoria di salita. Siamo a circa 1250 metri di altezza, parcheggiamo l’auto in un incrocio, l’ultimo punto in cui lo spazzaneve ha ripulito la strada. Proprio mentre i primi raggi di sole dipingono di rosa la cresta del nostro monte che lentamente torna a vivere la sua nuova giornata. Ed è già un bel vedere. Fuori dalle auto c’è un attimo di puro panico per affrontare la bassa temperatura; i movimenti veloci dei preparativi ci scaldano e siamo pronti in pochissimo tempo. Sono le sette e venti quando ci muoviamo; prendiamo a percorrere la strada innevata fino ad un primo accesso che ci fa attraversare i poderi fino a raggiungere la lingua di salita. Dopo pochi passi il freddo non sembra più così pungente, il vento è assente e l’aria è completamente ferma, come assenti sono i rumori del mondo. Solo noi ed il soffio dei passi che affondano in una neve purtroppo fresca. Sembra breve il tratto da attraversare, come del resto ci è sembrato breve il tratto da salire quando lo guardavamo dal caldo dell’abitacolo dell’auto. Novecento metri di dislivello, un metro sull’altro tutti li davanti a noi, visibili dall’attacco in piano fino alla vetta, mai nessuna montagna si è mostrata così nella sua interezza di percorso. Per fortuna quando fai quel fatidico primo passo non pensi mai alla fatica che hai davanti e così anche questa volta, senza quasi accorgersene abbiamo cominciato a guardare l’orologio e a chiederci dove fossimo arrivati solo ad un terzo della salita. In questo tratto il sole si impadroniva della valle; restituiva lentamente il fianco della montagna al mondo e altrettanto lentamente, forse per il contrasto crescente rendeva più invisibile e buia l’altro lato della vallata. Un panorama suggestivo ed unico. Una piatta striscia di terra segnata dai viottoli e dai recinti, dagli alberi che dividono i poderi e dalle poche case che emergevano dal quel mare bianco. E verso sud est le montagne importanti che cominciavano a prendere forma: il Morrone faceva intuire la sua mole e quella cresta che spuntava era la Maiella; eravamo così vicini che si stentava a riconoscerli. Un cane lemme lemme ci raggiunge a prendere la sua razione di coccole; per un po ci segue ma siamo troppo lenti per lui e ben presto desiste. Continuiamo dandoci il cambio al comando, la salita diventa una fase noiosa e anche faticosa. La neve non accenna a prendere consistenza, sprofonda, rimane impalpabile e anche bagnatissima. Cogliamo gli spunti del paesaggio, i contorni della valle e della montagne davanti; ora si riesce a vedere anche il mare all’altezza di Passo san Leonardo e dietro i contrafforti del prospiciente Monte Pizzalto, un 2000 mt mancato per un pugno di centimetri si comincia a delineare l’affascinante cresta del Porrara, la salita è solo una monotona conquista del pendio. Senza mai prendere i connotati di una difficoltà particolare la progressione si è dimostrata solo una lenta conquista di un pendio di tutto rispetto senza cambi di pendenza significativi e solo intorno a quota 1900, forse anche perché finalmente si poteva andare di traverso in direzione della vetta posta a nord rispetto alla nostra posizione, l’affanno da salita si è attenuato. Un lungo traverso ci ha regalato l’ampia cresta quasi in corrispondenza della vetta, della doppia vetta, contraddistinte da un bel cippo con un cappello da alpino a memoria di due militari forse del luogo e da una croce con tanto di piuma riprodotta sempre a voler legare l’eroico corpo degli alpini a questa cima. Stupisce come ogni montagna, in condizioni di sole e cielo azzurro come eravamo, sia in grado di regalarti uno sguardo sul mondo; ed il Rotella, dopo tutte le montagne li intorno ci regalava un altro punto privilegiato sugli Appennini. Da questa cima, verso est- nord est, erano così vicini come mai, così tanto vicini da sembrare di poterli toccarli il Morrone, la Maiella e l’aereo Porrara; dietro il mare di un azzuro quasi estivo. Verso Ovest è imponente il Genzana , poco dietro il Sirente ed il gruppo del Velino. Continuando a ruotare lo sguardo verso nord si aprono le montagne del Parco. Il Marsicano, la lunghissima Serra di Chiarano, il Greco, il Pratello quasi sparisce davanti a tanti colossi e giù, verso il sud, che continua a chiamarci, il Miletto fatto dei suoi riflessi ghiacciati. Una mezz’ora siamo stati in cima, non finivamo mai di guardarci intorno e continuavamo a stupirci alla ricerca dei particolari, come l’enorme giro che avevamo fatto sul Greco, da qui più che mai prendeva la caratteristica di una avventura imponente. La conca immacolata ad ovest proprio sotto la vetta e le curve della montagna suggerivano già la linea da seguire per la discesa e per raggiungere la seconda auto. Il viale alberato del rettilineo Piano delle cinque Miglia era laggiù in fondo e non pareva avere ostacoli per essere raggiunto. Per un pò ripercorriamo indietro la cresta sui passi dell’andata, è bellissima, larga, sinuosa, in controluce, scende e risale verso la Cima della Fossa, l’anticima del Rotella per così dire, un 2000 mancato di soli dieci metri e conduce lo sguardo verso il Miletto. Da percorrere per il solo gusto di farlo viene da pensare, ma i progetti del gruppo erano altri; intanto mangiare e recuperare un po’ di stanchezza. Quale posto migliore se non l’interno di quella conca, al riparo dal vento? Scesi un po’ all’interno, studiando le pendenze per evitare ulteriori salite abbiamo trovato delle rocce asciutte e al cospetto delle montagne del parco ci siamo presi il nostro tempo. A questo punto non rimaneva che puntare la valle; le traiettorie erano segnate e nonostante questo siamo riusciti a dividerci. Mr Spit ne ha scelto una dentro un canalone innevato, più protetta dalle forti pendenze che stavano paventandosi nei crinali di discesa ma di certo più lunga. Per lunghi tratti abbiamo perso il contatto ma perdersi era praticamente impossibile per cui non ci abbiamo dato peso. Io, Luca e Giorgio abbiamo continuato a traversare la montagna, puntando la valle scendendo in un pendio a volte accentuato ma mai pericoloso. Anche un paio di soste ci siamo concessi per aspettare Giorgio e per dissetarci un pò. In quel versante, colpiti direttamente dal sole, in assenza di vento, bersagliati dal sole come se il mondo circostante fosse una grande lente di ingrandimento puntata su di noi, abbiamo sofferto un caldo asfissiante e disidratante. Durante la seconda sosta vediamo sfilare Giorgio in basso, giù nel canalone; non ha sentito evidentemente il richiamo del gruppo ed ha deciso di filarsela da solo. Riprendiamo il percorso sempre tagliando il pendio; velocemente raggiungiamo gli ultimi contrafforti della montagna, deviamo dal progetto iniziale di discesa varie volte mano a mano che le gobbe della montagna ci spalancano i tratti successivi ed alla fine poco sotto le la fonte delle Sette Fonti a quota 1600 ci riuniamo con Giorgio. Ora la questione è solo quella di intercettare la linea di discesa in corrispondenza del parcheggio dell’auto. Tra le gobbe degli ultimi contrafforti del Rotella ci districhiamo nelle traiettorie più convenienti per evitare ulteriori salite che nella polverosa neve finirebbero per tagliarci definitivamente le gambe. Una gobba, un’altra ancora accuratamente evitate, la ricerca dello sbocco della galleria stradale presso cui dovremmo aver parcheggiato e alla fine l’auto. Un po’ lontana ma di meglio non si poteva fare; centrare la coordinata giusta avrebbe significato salire un grossa pendenza e le nostre fantasie e velleità erano davvero finite. Il piacere di porre fine alla “ravanata”, due chiacchiere con dei simpatici signori intenti a godersi il sole caldissimo, una bella bevuta ad una gelida fontana li vicino; avevamo compiuto la traversata, concluso un altro progetto senza battere ciglio. Erano le 13 appena ed il tutto è durato solo cinque ore e venti, non male se si pensa al percorso con la neve inconsistente come era. Eravamo felici di essere lì. Riprendiamo l’auto per compiere il giro già fatto la mattina; sbagliamo di nuovo in un paio di incroci ma ce la facciamo. Ci ricomponiamo, le attrezzature erano rimaste in macchina di Giorgio; osserviamo soddisfatti il percorso di salita. Una lunga traccia verticale sale nella lingua di neve allo scoperto dal bosco, ciò che la mattina ci era sembrata un’agevole salita ci appariva ora in tutta la sua monotona e costante pendenza. Ma era cosa fatta, ora esistevano solo i sorrisi. Tornandocene a casa siamo passati per un’altra strada, come a completare davvero l’anello del Rotella e le fantasie dei montanari che siamo si sono andate a fissare sulle rave della Maiella e del Porrara. Come un’unica catena ci sono apparse colossali e affascinanti. E già i primi approcci per futuri progetti si concretizzavano; il Rotella è davvero la montagna di congiunzione tra il nostro mondo fin qui conosciuto e frequentato e quello più lontano e misterioso della Maiella. Eccoci, per gradi, quasi naturalmente, ci siamo arrivati. Sono certo che a breve si aprirà il capitolo Maiella.